Storia di Longobucco
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La storia di Longobucco è di origine molto antica e solo attraverso la sua conoscenza possiamo addentrarci a pieno nel mondo della tessitura. Le radici di Longobucco risalgono all'epoca della Magna Grecia, periodo di grande splendore per le città di Sybaris, Kroton e Lokroi. Un gruppo di questi coloni si ferma alle foci del fiume Trionto ed inizia arisalirlo per cercare metalli. Trovarono tanta galena argentifera,calcari, graniti, antracite e tantapirite di rame da chiamare la città Themesa o Themesen (terra di miniere)che si trovava probabilmente vicina l'odierna Mirto.

L'area più fertile di giacimenti è localizzata dove attualmente si trova Longobucco e con l'argento ricavato da esse vennero coniate le monete dei Sibariti. Themesen è una delle 26 città confederate di Sibari e quando nel 510 a.c. Crotone decide la distruzione di Sibari, sarà esclusivamente la cavalleria Themesina ad opporre resistenza.

La battaglia si svolge nel fiume Trionto dove ancora due località la ricordano : Sferracavallo e Strange. Dopo una giornata di violentissimi combattimenti i cavalli Themesini restano senza ferri ed i cavalieri appiedati, vengono spinti ed imbottigliati in una gola, e là vengono trucidati : Strange=strages.

I superstiti della battaglia si rifugiano presso le abitazioni di minatori e nasce cosi nuova Themesen montana, dove sorge attualmente Longobucco.

Norman Douglas, arroccando verso Longobucco, cita la sanguinosa battaglia nel suo celebre libro Old Calabria :

<< D'ora in poi, il mio cammino sarebbe stato in discesa, lungo il fiume Trionto (l'antico Traesi) fino a Longobucco…. Bevvi un sorso di quell'onda fresca e petulante, ricordando il lontano giorno in cui una catastrofe irreparabile sopraffece la città europea: fu infatti nei pressi dell'estuario del Traesi che venne combattuta la battaglia fra trecentomila sibariti e gli uomini di Crotone, guidati dal loro campione Milo – battaglia che portò alla distruzione di Sibari e indirettamente della cultura ellenica in tutta Italia >> .

Il dio venerato era Libante (dio del vino) al quale ogni anno veniva sacrificata la più bella ragazza del paese. Ovidio, nella Metamorfosi, narra di Polite compagno di Ulisse, il quale venuto a conoscenza della bellezza delle fanciulle Themesine, si reca nella cittadina ed entrò nel tempio, dove vide una ragazza incatenata e se ne innamorò, decidendo di combattere il crudele dio. Ne uscì vittorioso e il dio per la vergogna si buttò nelle acque dello Jonio, liberando così Themesen da una crudele tirannia.

L'antico tempio del dio Libante è riportato nello stemma comunale: riproduce un tempietto, sulla cui facciata s'inquadra una porta chiusa tra due stipiti costituitida colonne doriche e sormontata da un architrave con modanature. Sotto il tetto, impostato dal cuspide, si apre una finestrella ovale.

La lotta iconoclasta porta in Calabria una nuova ondata di greci: sono soprattutto monaci che si rifugiano sui monti, un gruppo arriva a Themesen, diffondendo così il Cristianesimo e facendo sorgere le prime chiese, dedicate a Santa Sofia, S. Nicola e S. Maria Maddalena .

<< Prima paese idolatra, come era la città da cui ebbe origine, poscia, venuta la luce del Vangelo di Cristo, si convertì al cristianesimo. Di ciò si ha notizia da un'antica iscrizione che trovatasi sulla facciata della Chiesa, ora radiata dalla vetustà della facciata per lo screpolarsi della pietra su cui v'era la seguente iscrizione: “Ut Themesen Libanti ita Longoburgus vero se sacravit Deo”, iscrizione che ricordava ai posteri la conversione al cristianesimo e l'origine idolatra della madre patria >> (G. De Capua, “Longobucco dalle origini al presente”).

L'undicesimo secolo fu la volta dei Normanni i quali, per farsi assegnare dai Papi le terre tolte ai Bizantini, abolirono rito e nomi greci traducendoli in latino, il nome greco del fiume Macrocioli (Macros colon) e lo stesso nome del paese in Longoburgus (lontano borgo).

Il tredicesimo secolo vide a Longobucco l'abate Gioacchino da Fiore, venuto per acquisire calici e vasi d'argento. Nelle miniere si continuò a lavorare fino alla fine del diciassettesimo secolo